Vino Pecorino Originale

La Storia, le Origini e le Tradizioni del Vino Pecorino di Arquata.

Indice pagina:

Premessa

  • 1. Il Vino d'Arquata.     
  • 1.1 Perchè il Vino Pecorino si chiama così?. Le Origini del nome.
  • 1.2 Che chi ha le vigne degano piantare lu canneto.
  • 1.3 Storie di Genti Arqutane. La vendemmia del 1585.
  • 1.4 Arquata e la Valle del Tronto, Terra d'anima di vino.

Premessa:

Arquata del Tronto è stata una delle Capitali italiane della viticoltura. Per millenni abbiamo lottato con l'impervio territorio per salvaguardare la nostra viticoltura fatta di vitigni, vini e ricette tipiche che permettessero di far mantenere il vino per più anni.

Essa può avere ancora un ruolo socio economico ed ambientale strategico perchè la sua perdita culturale è inaccettabile. Come possiamo vedere nell'immagine sottostante dal Catasto Gregoriano del 1835 d.c. Arquata è tra le rare zone dell'Italia Centrale dove si praticava una viticoltura specializzata, estesa su ben 90 ettari quadri. Parlare di Vino Pecorino è parlare di Arquata.

terra vitata
Estensione della viticoltura ad Arquata del Tronto

1. Il vino d'Arquata.

Chi beve il Pecorino beve Arquata

La Storia del nostro Vino così vituperata da presunte Associazioni vicine e lontane con Denominazioni varie, va recuperata perché identitaria nella sua terra, Arquata del Tronto. Don Adalberto Bucciarelli storico locale, ne descrive le origini nel suo libro "Dossier Arquatano". Grazie alla sua sensibilità storica e culturale verso la terra natia ho potuto visionare e ripercorrere rotte che possono rappresentare nuovi orizzonti di sviluppo per tutti i cittadini di Arquata del Tronto e della zona montana dei Monti Sibillini. Altre informazioni, fondamentali nella ricostruzione storica, le ho potute visionare presso l'Archivio storico di Norcia, dove un Manoscritto della fine del 1200 d.c. attesta come la cura della vigna fosse ritenuta di primario interesse già all'epoca. I racconti di mio padre Arnaldo e degli anziani locali, tramandati da generazioni sulla nomea Pecorino e sulle modalità tecniche della sua cura, sono la voce del tempo. La loro passione ed attenzione verso questo vitigno sono state per me un ritorno alle origini.

 

Le Immagini del film: "Serafino" del 1968 di Pietro Germi, con Adriano Celentano sono girate ad Arquata del Tronto. Uno spaccato perfetto della società locale e della consuetudine di avere il Vino Pecorino e Formaggio Pecorino sopra i camini, da sempre connubio inscindibile, facevano parte dell'arredamento tipico della casa rurale della nostra Montagna Arquatana. 

1.1 Perchè il Vino Pecorino si chiama così?. Le Origini del nome:

Dossier Arquatano
Dossier Arquatano di Don Adalberto Bucciarelli

La necessità dei Monaci del Convento Benedettino sito in Borgo di Arquata del Tronto di un vitigno in grado di dare loro un vino che durasse tutto un anno, non solo per dire messa, ha prodotto il Vino Pecorino, nome del Vino e non del vitigno. Presumibilmente siamo nei dintorni del 1200 d.c. e una delle regole benedettine, Norcia confina al lato nord-ovest del contado, comandava non più di tre calici a dì. Un vino proprietario permetteva di oltrepassare una così ferrea disciplina se bevuto nel silenzio e nella contemplazione di Dio e del Luogo. Con il declino dell'Impero Romano iniziò anche quello della viticoltura che resistette solo all'interno dei Monasteri. I Monaci non solo migliorarono le tecniche della viticoltura e della vinificazione ottenendo vini di migliore qualità, ma sperimentarono nuovi incroci. Nonostante ciò le regole erano davvero rigide, imponedo il suo consumo in rare occasioni e durante l'eucarestia. “Ora et labora” (prega e lavora) era il motto dei benedettini.

Il nome Vino Pecorino, oggi così decantato da Cantine rinomate da fregi i più diversi che fanno di questa vite loro autentica, dimenticano che all'epoca la vite era sinonimo di vita. La leggenda di questi ultimi lega il nome alla transumanza e che derivi da "pecora", bene è solo fuorviante. La transumanza era una tradizione tipica che riguardava lo spostamento delle greggi dagli abruzzi a sud, all'interno dello Stato delle Due Sicilie, verso il Tavoliere delle Puglie. Ebbene, in Abruzzo il Vitigno Pecorino non è mai stato presente. 

Da GAMBEROSSO del 04/09/2023

Cit. di Alessandro Nicodemi Presidente Consorzio Vini Abruzzo

 

"La legge deve essere uguale per tutti” dice Alessandro Nicodemi, presidente del consorzio abruzzese “e se hanno tutelano il nome Nero d’Avola in Sicilia, blindando le etichette solo ai vini siciliani e facendo utilizzare il nome Calabrese ai vini fatti con il vitigno Nero d’Avola fuori dai confini siciliani, non vedo perché non possiamo chiedere la stessa cosa noi con il Montepulciano d’Abruzzo”. Nicodemi sostiene di combattere anche a nome di altri vitigni che si identificano con alcune regioni italiane. “Ritengo che anche il Sagrantino Umbro, il Verdicchio di Jesi, il Cannonau della Sardegna e le altre denominazioni che coincidono con i vitigni, debbano essere tutelate. Il Pecorino è del Piceno? Ottimo. Tuteliamo anche il vitigno Pecorino e le altre zone d’Italia dovranno utilizzare un sinonimo”.

 

Gli unici cloni di Pecorino utilizzati per gli impianti anche abruzzesi sono stati presi ad Arquata del Tronto nelle Frazioni di Pescara del Tronto e Borgo, ritenuti con genotipo puro.

 

Come racconta anche la storia recente con Cocci Grifoni. Il quale ha recuperato il primo clone a Pescara del Tronro nel 1982.

 

Nella Relazione Bonucci, Prefettura di Norcia, Arquata e suo Contado del 05 ottobre 1781 leggiamo:" ...Commercio del luogo e suo impedimento. Due generi sono quelli che costituiscono il Commercio del Paese: Vino e Castagne: Le castagne si portano nell'Ascolano e Norcino, il Vino nel Regno". Le buone relazioni tra l'Arquatano e il Regno si sono sempre rette sullo scambio del vino, tant'è vero da essere utilizzato come mezzo di pressione politica e commerciale. L'editto del Prefetto di Norcia e Montagna del 6 gennaio 1782, Paride Giustiniani, proibisce di esportare il vino prodotto in Arquata fuori dallo Stato Ecclesiastico verso il Regno ( cit. tratta da:" il Vino Pecorino" di Gabriele Lalli e Giacomo Eupizi). Che le pecore poi entrassero nei vigneti locali per mangiare il rinomato prodotto è privo di fondamenta storiche e culturali. Come ricorda Bucciarelli editti ad hoc esistevano già nel lontano Statuto Comunale di Arquata del 1574 e punivano duramente i trasgressori, nell'estratto :"

« Acciò li huomini sbigottiscano per lo fare delli danni nelle possessioni di altri, statuimo & ordinamo che se alcuno ho alcuna darrà danno nelle vigne & pastini de alcuno da calende de Luglio & sinchè dette uve saranno vendegnate personalmente, tanto, in vigne & pastini paga de pena per ciascheduno & ciascheduna volta fiorino uno de moneta de dì, de notte se raddoppia senza alcuna remissione, ma capra se porco, cane, pecora, bove, ho vacca Asino ho asina, mulo, ò mula, cavallo, ho cavalla ò altri animali simili ha questo daranno danno in dette vigne & pastini de detto tempo li detti animali paga di pena soldi quaranta per ciascheduno animale & per ciascheduna volta & de notte se raddoppia, della quale pena la terza parte sia dell'officiale che esequirà & lo resto se applica al commone d'Arquata. (...)

È possibile tutt'oggi visionare le vigne centenarie per accorgersi come ad un'altezza media delle viti di circa 1,20m, non sono sottoposte ad alcun pericolo di essere divorate dagli animali selvatici presenti, figuriamoci nei periodi storici precedenti dove la campagna era vissuta tutto il giorno. Olimpia Gobbi descrive la viticoltura di montagna di Arquata del Tronto e della zona pedemontana picena in:"  Libro dei fattori di campagna", p.22, "Vigne e vignaioli del Piceno montano: secoli XV-XVI", ne emerge come l'economia del luogo fosse legata all'arte della viticoltura. La vite era uno degli scarsi beni di sostentamento, protetta e rispettata perchè Vitale. 

Altri si sono cimentati riguardo al significato del nome, Don Bartolomeo Palucci di Acquasanta Terme in" Dialetto nella vita rustica picena" cita il Vino Pecorino:" l'uva pecorina o arquatanella, il secondo nome era il più comune ed era derivato dalla zona di propagazione, Arquata, dove era stata introdotta dai monaci residenti a Borgo. Era diffusissimo in montagna, ma non si capisce il nome Pecorina. Era di color giallo, a piccoli acini. Crediamo che il nome sia dovuto a un difetto di traduzione dal greco melaia <<color mela>> e <<pecorina>>. Foto a fine articolo.

Salvatore Mondini in: " I Vitigni stranieri da vino coltivati in Italia", cita come Vitigno Speciale, il Vino Pecorino Arquatano a pag. 84.

 

Le Tradizioni hanno sapore: Il nome deriva dall'accostamento del vino al formaggio pecorino, prodotto in voga anche all'epoca, non solo nel colore giallo paglierino. Nel dettaglio, la "Frizzantezza" del Vino Pecorino si accompagnava perfettamente con la "Piccantezza" del formaggio di pecora, al tempo termini sinonimi. Nell'Alto Medioevo i vini "Mossi" venivano chiamati con diverse terminologie, fra le quali ricordiamo quelle di “saliens” o “tiillans”, di lingua latina, oppure con quelle di “mordaci”, “piccanti”, “raspati o raspanti”, “razzenti” o “racenti”, in lingua volgare. Non esisteva all'epoca il termine Frizzante come identificativo di un prodotto spumeggiante, il termine Piccante racchiudeva in sè anche il suo significato, come di tutti i prodotti con sapore speziato.
La frizzantezza del vino è dovuta alla doppia fermentazione che il vino subisce per via della zona climatica e per la praticità dei Monaci, i quali otturavano le botti e le otri con la stoppa di ginestra e un bastone di nocella. I primi freddi autunnali ne bloccano la fermentazione, per riprendere in primavera, a marzo, regalando un vino dalle proprietà uniche di vivacità. Il formaggio di pecora acquisiva la sua piccantezza dalla lavorazione che subiva il caglio dell'agnello, in dialetto locale tale usanza era ed è chiamata "Acconcia". Al caglio, usato per far coagulare il latte di pecora, vanno aggiunte erbe locali che donavano la caratteristica piccante. Ancora oggi si produce il formaggio locale con la stessa tecnica. Ricordo che siamo nel periodo storico di Marco Polo, precedente alla scoperta delle Americhe ed all'arrivo in Europa del peperoncino, il sapore  speziato era ricercatissimo in un prodotto perchè unico, a scapito dello stesso oro. Il termine “spezie” deriva dal latino “species” che indica una merce speciale e a cui venivano attribuite perfino virtù magiche. Vino Piccante e Formaggio Piccante, legati dal termine Pecorino, identificativo del luogo legato alla pastorizia. Non, vino delle pecore, appellativo inteso per ignoranza e dispregiativo per il luogo e per la storia del nostro vino. L'intenzione dei Frati Benedettini era di Nobilitare i due prodotti locali, uniti dal sapore speziato, per le loro peculiarità uniche al tempo. Ancora oggi, connubio di prodotti tipici che regalano doti ed emozioni, le più svariate ai cittadini ed agli Ospiti. Le denominazioni del passato che legano il vino al suo luogo d'origine: Pecorino Arquitano, Pecorino d'Arquata, Pecorina Arquatanella, Bianchetto d'Arquata, Pecurino d'Arquata. 

 

Per recuperare le Nostre Tradizioni e recuperare la storicità del nostro Vino, nel 2015 nasce il progetto Terra Divina su input dell'Associazione Culturale Alto Tronto. Il Sisma del 2016 blocca il nostro percorso solo per poco tempo. Il 19 settembre 2016, grazie alla Regione Marche riusciamo in un secondo step fondamentale, ottenere i permessi all'impianto. L'8 marzo del 2018 nasce Agriarquata Soc. Coop. Agricola e grazie a noi soci, siamo a gennaio 2021 la nostra Cantina a Pescara del Tronto nel Comune di Arquata del Tronto.

 

 

Citazioni storiche sui Vini Piccanti nel '500.

 

Girolamo Conforto (1519-1595), medico, in "Libellus de vini mordaci", parla dei vini effervescienti  e della loro ricercatezza tanto da essere considerati, Benedetti, Sacrifeghi, Terapeutici e Maledetti. Nè descrive il gusto:"sapore piccante o mordace che non seccano il palato, come i vini acerbi ed austeri, e non rendono la lingua molle come i vini dolci. Alcuni di loro provocavano il singhiozzo e facevano giungere la loro azione al cervello ed agli occhi i quali, a causa delle copiose bollicine, spesso lacrimavano".

Giovanvittorio Sadermi (1526-1597), nel suo Trattato sulla coltivazione delle viti e del frutto che se ne può cavare, descrive un suo personale metodo per ottenere i vini piccanti:" per ottenere e fare ancora i vini piccanti, saporiti e dolci, auita assai pestare le uva con le stanghe o con mazzapicchi rotondi che abbiano la caperozzola piana".

Andrea Bacci (1524-1600), definisce i vini spumosi:" dilettosamente mordenti, di soave odore e spumanti auree bollicine qualora si mescano e si versano negli ampi bicchieri a stelo".

Ambito e decantato il vino piccante nei secoli passati, la ricerca per ottenerlo tramite il metodo della rifermentazione in bottiglia ha dovuto attendere il monaco benedettino Dom Perignon (1639-1715), padre dello Champagne.  Ad Arquata del Tronto l'alchimia era conosciuta già mezzo millennio prima.

 

 

Bartolomeo Palucci
Foto tratta dal libro: "Dialetto nella vita rustica Picena" . 2007 di Bartolomeo Palucci.

1.2 Che chi ha le vigne degano piantare lu canneto.

 

Presso l'Archivio storico di Norcia ho potuto visionare gli Statuti a stampa risalenti al 1526  in lingua volgare, nel caso, Rubrica .CXII, Titolo: che chi ha le vigne degano piantare lu canneto,  pag.510,511,  la prima citazione del nome Vino Pecorino. Precisiamo che gli statuti a stampa derivano da quelli Manoscritti, andati perduti dal rigore del tempo,  risalenti alla fine del 1200 e che Arquata del Tronto in quel periodo faceva parte proprio di quel distretto. Come dal titolo il Manoscritto obbligava i detentori delle vigne a impiantare le Canne da utilizzare per il sostegno fisico delle viti stesse. Di seguito la dicitura del manoscritto, estratto dall'originale:

 

Item statuimo et ordinamo che per havere abundantia de pali per mantenire le vigne delli homini della terre de Norsia, suo contado e districto, tucti et singoli homini della dicta terre et suo districtio che hanno le vigne de pecurino nel dicto districto sieno tenuti et degano, per fino ad dui anni da numerarse dal di della publicazione dello presente statuto, piantare et ponere nelle loro vigne o possessioni admino mezo staro de canne et epse da poi continuamente mantenere ad pena de cento soldi per ciashuno de contrafarà. Et che nullo nelle dicte canne o canniti dega dare danno ad pena de dece soldi per ciascuna fiata. Et che ciascuno iurato sia tenuto repportare quelli che daranno damno nelle dicte canne alla dicta penade soldi dece.

 

Il nome tecnico, di tale allevamento della vite è conosciuto come Allevamento a Conocchia e si è protratto per secoli, non solo in questi luoghi. Il sistema prevedeva tre o quattro canne poste in contrasto tra loro al centro, a mò di capanna, ed ogni canna sosteneva una vite. Il sistema è scomparso nel secolo scorso con l'arrivo delle macchine per lavorare la terra, data l'impossibilità delle stesse di passare tra i filari senza far danni alle viti ed alla struttura. La Conocchia richiede un forte impiego di manodopera, si pensi ad una prima vangatura ed ad almeno un ripasso a zappa. Ad Arquata del Tronto tale sistema non durò molto perchè simultaneamente alla coltura della vite i Frati Benedettini intensificarono, nei terreni marginali alle altezza oltre i 1000 metri s.l.m. la coltura dei Castagni. Presumibilmente, il legname ricavato da essi, fù usato presto per la viticoltura a filare perchè permetteva meno lavoro in vigna. I sostegni in legno riuscivano a sostenere le viti anche sotto le abbondanti nevicate ed tendevano a marcire molto meno nel tempo.

1.3 Storie di Genti Arqutane. La vendemmia del 1585.

 

La disposizione per l'inizio della vendemmia era impartita dai signori Priori, i componenti dell'organismo di governo della città di Arquata del Tronto. Il Sensale stabiliva il prezzo di vendita del vino, questa figura nel periodo dei Comuni era utile ad agevolare le contrattazioni assumendo in molti casi la funzione di pubblico ufficiale. Si occupava quindi anche dell'ottemperanza delle norme e nel periodo di riferimento il maggior disturbo era rappresentato dal comportamento poco onesto dei gestori delle taverne. Il vino veniva stoccato in barili dalla capacità di  circa 33 litri e la vendita era usuale nelle Taverne tramite boccali la cui capacità nello Stato Pontificio, fino all'anno 1585, corrispondeva a 1,823 litri, livello più alto nell'Italia dei Comuni. Ad esempio, a Milano corrispondeva a 0,787 litri. l'Oste aveva l'obbligo di riempire il boccale o il suo sottomultiplo fino all'orlo. Esso all'epoca era in ferro o coccio con una bocca più o meno larga che facilitava le frodi, per via dell'impossibilità di riempire il contenitore fino in cima, insieme all'aggiunta di acqua nel vino. La pena pecuniaria, per tali inottemperanze era di diece libre di denari. L' anno 1585 si ricorda nell'Arquatano per la tassa sulla Fojetta (Foglietta) di Papa Sisto V, un quattrino per ogni Fojetta di vino venduta. La necessità derivava dal racimolare nuovi fondi per finanziare i suoi progetti per Roma ed il precetto canonico si giustificava con la diminuzione del consumo di vino, supratutto per l'ordine pubblico. Fù quindi rimpiazziato il vecchio boccale, con la fojetta appunto, fatte in vetro trasparente e con sigillo dello Stato Pontificio e senza bocca,  corrispondente a 1/2 litro. I nuovi multipli e sottomultipli, il Barzilai da 2 litri, il Tubo da 1 litro, il Quartino da 1/4 di litro, il Chirico da 1/5 di litro ed il Sospiro da 1/10 di litro. La nuova norma provocò sussulti e lamentale anche ad Arquata, sino a che la diffusione della legenda in cui il Pontefice aveva fatto appendere un Oste non rispettoso delle nuove dispozioni placò i mugugni. Si narrava che lo stesso Sisto V recatosi in una osteria, tale Taverna del Leone a Tor di Nona, sotto le mentite spoglie di un vecchio eremita, ordinò molte mezze Fojette, tante da infastidire l'Oste che prese a male parole il nuovo sistema voluto dal Papa, ma gli costò la pelle.  Lo stesso Podestà, la più alta carica di governo della città di Arquata usò l'accaduto per intimorire il popolo restio al nuovo uso, invocando come l'ira del Papa Sisto V non lasciasse scampo per nessuno.

Cantina d'epoca
Cantina d'epoca '500-'600 a Trisungo

1.4 Arquata e la Valle del Tronto, Terra d'anima di vino.

Arquata del Tronto è il Paese del vino, la sua storia si articola anche attraverso l’evoluzione dell’arte della vite e si intreccia con il territorio, le epoche passate ed i nostri usi e tradizioni.

Ha come sua particolarità geografica un territorio fatto in gran parte di alta collina, estendendosi tra i circa 600 metri del paese di Trisungo fino lassù a nord protetta dal Monte Vettore, 2476 mt, ed dalla catena dei Monti Sibillini e a sud/ovest dal monte Pizzo di Sevo, 2419 mt, ed la catena dei Monti della Laga. Vocata per la viticoltura già in epoca Romana, Plinio il Vecchio nel I sec. d.c. in “Naturalis Historia” descrive il vino cotto e le uve della zona della vallata dell'Alto Tronto. Al tempo tutta l'area dell'alto tronto apparteneva alla famiglia imperiale di Vespasiano detta dei Flavi e Plinio era un loro procuratore. Dobbiamo fare un salto temporale di circa un millennio per arrivare alla costruzione del Monastero Benedettino a Borgo di Arquata, i frati portarono l’arte del buon vino e lo studio delle terre più vocate. Già a quel tempo iniziarono a praticare una vinificazione minuziosa e favorito lo sviluppo di diverse varietà d’uva.  I Pecorini, lo Zibibbo e probabilmente altre tipologie, utilizzando ibridazioni dalla Vite silvestre (Vitis vinifera subsp. sylvestris locale). L’interesse era avere un vino da utilizzare nei riti religiosi che durasse fino alla vendemmia successiva senza che diventasse aceto. La pratica del vino cotto, già in voga sul territorio, non era ritenuta idonea per l'utilizzo nella ritualità religiosa, per un’interpretazione ortodossa del vangelo. Dobbiamo aspettare l’inizio del XVI secolo, quando nel 1534 Sante Lancerio, bottigliere di papa Paolo III, esalta la bontà del Vino Cotto ritenendolo di qualità tale da poter essere utilizzato nel rito sacrificale della Santa Messa. I Frati Francescani si sostituirono ai Benedettini nel Convento di Borgo, forse dopo che giunse qui nell'anno 1215 San Francesco d’Assisi. Non si fermò certamente la cura e la passione per il vino, evolvendosi ancora come parte integrante della vita del luogo. Quel che è certo il vino non era considerato come un privilegio delle classi più agiate, anzi era il collante sociale dell’epoca, così come ricorda Adalberto Bucciarelli, le taverne locali erano il tipico luogo d’incontro e d’evasione ad una vita grama di fatiche e ristrettezze per tutti ed il Vino Pecorino il rimedio. Andrea Bacci, medico di Papa Sisto V. nel 1596 pubblicò l'importantissima opera “De naturali vinorum historia, De vinis Italiae e De conviviis antiquorum". Trattato in latino sui vini suddiviso in sette libri e nel quinto, “In Picenis”, parla dei vini del Piceno. A pagina 42 del capitolo:”Vino dell'Agro di Ascoli Piceno”, narra del vino cotto e della maestria dei contadini locali. In una sua citazione:” gli industri coloni coltivano badando non tanto alla quantità quanto alla perfezione”, rimarca la sentita importanza di ottenere una qualità di vino raffinato. Il Bacci ricorda anche diversi vini frizzanti anche se non cita il Vino Pecorino d’Arquata del Tronto. Intorno alla metà del XIX secolo, molte viti europee furono colpite da una malattia causata dalla fillossera, un afide che succhia la linfa dalle radici. Ad Arquata del Tronto, forse per l’altezza delle sue viti, essa non ne intaccò nessuna, ed ancora oggi, Unici, possiamo vantare vitigni franco piede. L’infestazione fù così virulenta che di tutte le vigne della provincia Picena, dalla rilevazione dell'Estimo Rustico Gregoriano di metà secolo, ne rimasero solo 128 ettari per lo più concentrate ad Arquata del Tronto. Questo dato ci fornisce chiaramente quanto fossero estese le vigne in loco in quell’epoca e come il tessuto sociale fosse ancora radicato alla tradizione della viticoltura, ancora retta ed incentrata sull’opera dei Frati Francescani. L'arrivo del Regno d'Italia portò ad un primo spopolamento, l'opposizione cruenta al nuovo Signore da parte della popolazione locale, provocò fortissimi tumulti, forse su sollecitazione dei Frati del Convento di Borgo. Verrà chiuso proprio in quel periodo, dispersi i Frati e ceduto l'immobile in possesso al nuovo Comune. Negli ultimi 50 anni la viticoltura Arquatana è stata quasi completamente abbandonata, non più sentita come arte locale. La terza rivoluzione industriale del dopo guerra ha progressivamente spopolato il territorio, dai circa ottomila abitanti residenti del 1945 siamo passati ai circa 1000 abitanti del periodo pre terremoto del 24/08/2016. Non abbiamo avuto la figura del Metalmezzadro, colui che dopo il lavoro in fabbrica tornava alla cura della terra. La distanza dalla città ha provocato un distacco drastico con il territorio d'origine, progressivamente ampiata dal non avere più in loco persone care. Ricordo ancora, nella mia infanzia degli anni ‘80, l’arrivo degli amici già alla fine della scuola in giugno, qui avevano nonni, zii e parenti, vi rimanevano fino in settembre con il nuovo inizio scolastico. Chi è rimasto o ha fatto il pendolare con la città o necessariamente dedito all’agricoltura, per la maggiore a carattere zootecnico. Essi hanno eroso le vigne rimaste per fare spazio alla produzione di foraggio per gli animali da stalla. Bisogna rendere omaggio all’arte senza tempo della vinificazione locale, figlia della storia e della cultura di Arquata del Tronto che ha ancora da dire e far parlare di se. Il racconto di un legame inscindibile, quello tra un’uva e il suo luogo d’elezione (citazione slow food), in un contesto unico di Viticoltura Eroica.

 

 

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Andrea Bacci, 1596 d.c. tratto da:"De naturali vinorum historia".